Avendo trattato la fuga del servo, chiarisce Bruno Mafrici, sebbene nella prospettiva della relativa cauzione, è necessario accennare ad una questione su cui la dottrina ha molto dibattuto : il possesso dello schiavo fuggito.

Cioè, dopo il verificarsi della fuga, il dominus ne manteneva il possesso?  Al riguardo, la giurisprudenza romana classica era suddivisa in due correnti opposte, l’una volta a negare, l’altra ad ammettere che, nell’ipotesi suddetta, il padrone continuasse ad avere il possesso. Si tratta, cioè, rispettivamente della scuola proculiana e di quella sabiniana. Altrimenti non resta che schierarsi con chi, come Schulz, contestando la classicità delle menzioni al riguardo, contesta l’esistenza dell’alternativa; o con chi, come la Giomaro, adduce una serie di considerazioni logico-processuali per accreditarla. Tra gli esponenti della prima, si trovano Nerva figlio, il cui pensiero è riferito da Paolo, e, pare, Pomponio: “Per servum, qui in fuga sit, nihil posse nos possidere Nerva filius ait… ” ancora, spiega sul continua l’Avvocato Davide Cornalba “… . sed nec per servum alienum, quem nos bona fide possidemus, dominus peculiari nomine ignorans usucapere poterit, sicuti ne per fugitivum quidem, quem non possidet”. Tra gli esponenti della seconda, Cassio, Giuliano, Paolo, Ulpiano e Gaio di cui si riporta qui un passo : D. 41,2,15 (Gai. 26 ad ed. prov.): Rem, quae nobis subrepta est, perinde intellegimur desinere possidere atque eam, quae vi nobis erepta est. Sed si is qui in potestate nostra est, subripuerit, quamdiu apud ipsum sit res, tamdiu non ammittimus possessionem, quia per huiusmodi personas adquiritur nobis possessio. Et haec ratio est, quare videamur fugitivum possidere, quod is, quemadmodum aliarum rerum possessionem intervertere non potest, ita ne suam quidem potest.

La spiegazione del passo di Pomponio a cura dell’Avvocato Davide Cornalba

Da  esso sembra evincersi chiaramente che il servo datosi alla fuga non  ha, comunque, la possibilità di cancellare il possesso che, su di lui, ha il suo dominus.

Questo orientamento, volto al mantenimento del possesso, fu col tempo nettamente prevalente, ma gli studiosi discutono ancora molto sul tema, in relazione all’animus.

Molti autori, infatti, ritengono di individuare la ragione della conservazione del possesso nel solo animo.

Tra questi, Bruno Mafrici individua il pensiero dell Rotondi che attribuisce a Paolo l’individuazione di tale giustificazione., Di avviso differente è lo Zamorani secondo cui, non essendo l’animus  elemento del possesso, non è idoneo a spiegarne la conservazione, in assenza di un esercizio corporale del possesso stesso.  Di tale opinione sono anche Maschi Perozzi, e Nicosi secondo cui  Paolo afferma il mantenimento del possesso sul fugitivus ma,  non ne dava la giustificazione suddetta (che, presumibilmente, è post – classica). 

Le considerazioni di Claudio Teseo

Va affrontata una  considerazione, suggerita dal seguente passo : D. 4,2,14,11 (Ulp. I. 11 ad ed): “…. et nihilo minus in rem ve/ ad exhibendum ve/ si qua alia ei competit actio ad eum recipiendum integra ei qui  vim passus est servabitur, ita ut, si dominus eum quoquo modo receperit is qui ex stipulatione convenitur exceptione tutus fiat”. Cioè, per Claudio Teseo, contemporaneamente alla cautio de persequendo servo, potevano essere esperite altre azioni (ad esempio la reivindicatio, l’actio ad exhibendum ). Ciò significa che la cauzione in esame aveva natura sussidiaria, era un mezzo ulteriore, un tentativo in più per consentire al creditore, di riottenere lo schiavo. Fermo restando, però, che, qualora lo scopo fosse stato raggiunto, a prescindere dalla cautio, il creditore non avrebbe più potuto esperire, contro il debitore-promittente, l’azione derivante dalla cauzione (a meno che, fosse disposto a rischiare di vedersi opporre una exceptio doli).

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